1.4.20

I classici

Se cliccate sul titolo parte il film.

Il film ha quasi 100 anni, è del 1922. È considerato il primo lungometraggio documentario della storia del cinema. È muto. Il film segue la quotidianità in mezzo alla neve e al ghiaccio di una famiglia di Inuit. Ci furono molte controversie legate al documentario, in quanto il regista, Robert J Flaherty, aveva inventato varie scene. Le immagini sono affascinanti.

Magari il film di Lina Wertmuller non può essere considerato proprio un classico. Diciamo che non è famosissimo. Il film è del 1974 e mostra i grand cambiamenti che avvengono nella società italiana in particolare a Milano seguendo un gruppo di amici. Bello il ventaglio di personaggi diversi sia donne che uomini. Il film dà soprattutto risalto alle donne. Belle le immagini di Milano, delle strade, dei mercati, del macello.

L'avevo visto tantissimi anni fa nel mio periodo di grandissimo amore per Visconti. Me lo ricordavo straziante, ma non lo è. Come potrebbe esserlo? È di Visconti. Il film è ancora, o forse di più, attuale. La Magnani è unica. 1951.

Film a episodi del 1963. Il titolo è composto dalle iniziali dei 4 registi: Rossellini, Godard, Pasolini, Gregoretti. Vale la pena soprattutto per La Ricotta di Paolini con i quadri viventi di Rosso Fiorentino e Pontormo. Sul sito del Cinema Arsenale dove potete trovare questo film c'è anche un documentario breve su Ugo Gregoretti che vi consiglio sia per la simpatia di Gregoretti che per le bellissime immagini di Roma.

Classici del cinema inglese nati dalla collaborazione del regista Joseph Losey e del drammaturgo premio Nobel Harold Pinter. Il servo è del 1963, L'incidente del 1967. In ambe due protagonista è Dirk Bogarde, grandissimo, che in Italia conosciamo soprattutto per Morte a Venezia e Il portiere di notte. I film sono molto british. Il servo, che racconta l'evoluzione del rapporto tra un aristocratico inglese e il suo servo, è molto teso e claustrofobico (si svolge per la maggior parte all'interno della casa dell'aristocratico). L'incidente ha un respiro più ampio e ci si apprezza di più i tipici dialoghi pinteriani spesso senza senso. Questi due film li trovate su Mubi che al momento costa 1 Euro per tre mesi.

Che dire? Si è già detto tutto. Io non l'avevo mai visto e ancora lo devo guardare.

Dovessi scegliere il mio preferito? 
Difficile. 
Ma dovessi per forza per forza? 
In finale arrivano L'incidente e Bellissima.
Vince Bellissima.
Visconti, i primi amori non si scordano mai.




27.3.20

Hayao Miyazaki

L'ultima volta che ho scritto qua sembra una vita fa, e nonostante i miei post non siano frequenti era comunque già marzo. In pochi giorni è tutto cambiato, tutti chiusi in casa ad ascoltare i discorsi di Conte a tutte le ore del pomeriggio e della notte - non mi sembra si sia espresso ancora di mattina. Le nostre libertà si sono ristrette sempre di più, e almeno in città uscire a fare una passeggiata può essere rischioso, anche se a me per ora nessuno mi ha insultata dalla finestra e nessun vigile ha minacciato di multarmi. Quindi alla fine non mi lamento, perché io sto bene, i miei cari sono tutti più giovani di me tranne auntie Doris, 92 anni, ma sta in Nuova Zelanda dove nonostante ci siano solo qualche centinaio di casi, la loro prima ministra, Jacinda Arden (magari qualcuno si ricorda la sua umanissima reazione dopo la sparatoria nella moschea di Christchurch), non ha sentito storie, e ha chiuso tutto, subito, comprese le frontiere, ha detto non vale la pensa rischiare di perdere i nostri cari (più o meno come Johnson), chiudiamo tutto e rimaniamo tutti a casa. Ecco alla fine non mi lamento anche perché il mio datore di lavoro mi fa lavorare da casa, niente ferie forzate, niente cassa integrazione che a un certo punto finirà, e il mio stipendio arriva puntuale. Certo mi manca fare i miei lunghi giri in bicicletta con gli amici, passeggiare, prendere aperitivi al bar, andare al cinema e a teatro, mi mancano le cene tra amici, i fine settimana a Casale, il mare di Marina (che sarebbe nel mio stesso comune, ma non credo venga valutato essenziale), un caffè al bar, mi manca toccare le persone, è forse la cosa che mi manca di più, toccare le persone, sedercisi accanto alle persone, spalla contro spalla, vabbè abbracciarsi baciarsi certo anche quello. Ma per esempio sono felice che nella mia strada non c'è il porta a porta e tutti i giorni esco a buttare la spazzatura nei cassonetti che sono anche parecchio lontani da casa mia. Poi stando a casa così tanto la mia casa è più in ordine, non quanto vorrei ma quasi, ho ancora tempo per renderla più piacevole. Stando sempre a casa cucino, pranzo e cena, anche se le mie porzioni spesso abbondano e mangio la stessa cosa a pranzo e cena. Stasera per esempio potrei farmi gli asparagi con le uova, che è un piatto che mi piace tanto, ma troppo semplice, con tutto questo tempo mi sembra un peccato non prepararmi piatti che necessitano lunghe preparazioni. Ho fatto la pasta per pizza, gli gnocchi, pulito cardi per farne risotti, lunghi curry indiani, cerco su internet in base a quello che ho in casa ricette le più laboriose possibili. Infine, ovviamente, stando a casa così tanto guardo un sacco di film, spesso facendoli partire insieme ai soliti amici con cui vado al cinema, così li commentiamo insieme prima durante e dopo. Ne ho già visti una marea, e da oggi, un po' alla volta ve li segnalo (a voi tre miei lettori).



Comincio con Hayao Myiazaki. Quella faccia che mette da sola serenità, no? Su Netflix ci sono vari suoi film e per ora ho guardato IL MIO VICINO TOTORO, PORCO ROSSO e LA PRINCIPESSA MONONOKE. I film d'animazione di Myazaki sono ovviamente per bambini ma sono così fantasiosi, così complessi, che sono apprezzati da tutti. Totoro è molto divertente e molto fantasioso e meno complesso di altri film del regista giapponese. Porco rosso mi viene da dire che è più per adulti e in qualche modo si svolge in Italia. Mononoke è interessante per la sua attualità sul tema dell'ecologia e sorprende per come il bene e il male che nei film pensati per bambini (ma infatti per Miyazaki non si può fare questa distinzione) sono sempre ben separati, qui si mescolano: il cattivo non è cattivo assoluto, la sua cattiveria spesso dipende da cattiverie fatte su di lui, l'eroe è ambiguo, non si capisce da che parte sta. Mononoke è complesso.

Come saprete, miei cari tre lettori, associazioni culturali di tutta Italia si stanno prodigando per portare la cultura nelle case, per aiutare le persone a passare il tempo. Io seguo giornalmente le proposte di due associazioni di cinema, il cinema Arsenale qui di Pisa e cinema La compagnia di Firenze. Bravi, bravi davvero!

Proprio l'associazione fiorentina ha proposto il documentario su Myazaki, Ponyo is here, ten years with Hayao Miyazaki. È in giapponese con sottotitoli in inglese o anche francese, ma non in italiano. Lo trovate qui.

Sta per uscire un suo nuovo film. Mettetevi in pari!

Buone visioni

9.3.20

René Groebli

Ho appena scoperto questo fotografo svizzero. Che è in giro da un sacco di tempo eh. E c'è una sua mostra in corso fino al 21 marzo a Zurigo, nel caso qualcuno passi da quelle parti.

Ma che bellissime!






In rete si trovano molte sue foto, per esempio qui, qui, e nel suo sito molto ricco.

6.3.20

Agnès Varda

Il primo film che ho visto di lei è stato solo un paio di anni fa: Visage Village con JR. Sapevo chi fosse, il suo ruolo nella storia del cinema, conoscevo la sua buffa faccia e capigliatura ma non avevo visto nessuno dei suoi film, o forse qualche spezzone che era nelle mitiche cassette del Cuccu per l'esame di Storia del cinema. Alla sua morte, nel marzo del 2019, ho sperato che almeno il cineclub di Pisa avrebbe fatto una bella retrospettiva su di lei, ma hanno solo ridato Visage Village. Eh... l'Arsenale non è più quello di una volta! Ma rimane l'unico posto dove vedere Varda par Agnès, l'ultima opera della regista francese uscito poco prima della sua morte e da lei presentato alla Berlinale.

Varda par Agnès come dice il titolo è Varda che parla di se stessa ripercorrendo quasi tutte le sue opere. Lo fa con quel suo modo incredibilmente leggero e ironico. È una lezione di cinema, di creatività, di vita. J'adore.

Nella sua ricchissima attività artistica, soprattutto agli inizi, ha avuto largo spazio anche la fotografia e grazie al film ho scoperto le sue bellissime fotografie. Eccone alcune:




2.3.20

Piccole donne di Greta Gerwig



Da Greta Gerwig, dopo il notevole Lady Bird, mi aspettavo di più, ma forse è difficile innovare una classicone come Piccole Donne. Anche se mi viene in mente per esempio Romeo+Juliette di Baz Luhrmann. Ma a pensarci meglio in quest'ultimo caso parliamo di Shakespeare che dalla fine del 1500 continua a dirci cose su noi stessi quasi, e sottolineo quasi, quanto i greci. Tutto il mio rispetto per Louisa May Alcott, di cui so poco o niente, ma non è Shakespeare e non è greca.

Allo stesso tempo però, leggendo qualche recensione soprattutto di critici americani, mi sembra di capire che Piccole Donne magari non parla a me ma invece parla molto agli americani che con quel libro sono cresciuti - probabilmente più le donne. Io fra l'altro l'ho letto intorno agli 11/12 anni mentre frequentavo giustappunto una scuola americana. Forse a quel tempo mi parlò, ma non ricodo più cosa mi disse. Quello che forse a me non è arrivato dal film, e forse anche per miei pregiudizi, sono i discorsi legati al ruolo della donna ai tempi del racconto, ma anche ai tempi nostri, e la figura della donna artista.

Nonostante non abbia colto questi aspetti, per me il film rimane godibile. Gli attori e soprattutto le attrici bravi, in particolare Laura Dern e Saoirse Ronan. C'è anche Meryl Streep che fa una piccola ma che si nota parte. Gli uomini sono Timotheé Chalamet e Louis Garrel, qui riconoscibilissimo a differenza di L'ufficilae e la spia di Polanski. Belli i costumi per i quali il film ha vinto l'Oscar.

La storia delle 4 sorelle March, in ristrettezze economiche e col padre lontano in guerra, viene raccontata attraverso flashback e flashforward che danno un bel ritmo al film. Certe volte non si è neanche troppo sicuri a che punto siamo del racconto. Sarei curiosa di vedere gli altri adattamenti. Ne sono stati girati vari, di cui i più famosi sono quello di George Cukor del 1933 con Kathreen Hepburn nella parte di Jo e quello di Gillian Armstrong del 1994 con Wynona Rider sempre nella parte di Jo e per la quale vinse l'Oscar.

Anthony Lane, il mio recensore di film preferito, dice che è uno dei più bei film di una regista americana (nel senso regista donna). Ecco, io Lady Bird sempre di Greta Gerwing lo trovo molto più interessante.

19.2.20

Herzog incontra Gorbachev



Di Werner Herzog, ovviamente.
Ma doppiato, purtroppo.
Così non ho potuto apprezzare l'accento tedesco di Herzog quando parla in inglese, il suo unico tono di voce, né le sue flessioni ironiche che sono sicura c'erano anche davanti a Gorbachev.
Il documentario è quello che dice il titolo. Una lunga intervista a Gorbachev con tante immagini della storia russa e mondiale degli ultimi 40-50 anni quindi sicuramente interessante solo per questo. Ci sono tra gli altri Thatcher, Reagan, il crollo del muro di Berlino, tutti i presidenti russi venuti prima di Gorbachev ma mentre lui era già nel partito, e tutti i loro maestosi funerali. E poi, c'è un po' (molto poca) di vita privata. Il grande amore per la moglie e la sua grande tristezza per la sua scomparsa, quando ne parla si commuove. L'altro suo amore per la cioccolata per la quale però si deve moderare perché è diabetico. Gorbachev che oggi a quasi 90 anni sembra nel documentario un caro nonnetto, ma l'energia che aveva un tempo e i cambiamenti di cui è stato protagonista nella storia sono enormi e Herzog li evidenzia tutti. Peccato sia andata a finire come è andata a finire, viene da pensare.
Herzog lo ama, non resiste e glielo dice proprio a un certo punto.
Il film manca un po' di quella verve tipica herzoghiana. Che sia il doppiaggio? Che sia Herzog che si è trattenuto davanti al grande uomo? Che sia anche lui invecchiato?

13.2.20

Richard Jewell di Clint Eastwood



Chi l'avrebbe mai detto che il primo film dell'anno a incontrare il mio gradimento sarebbe stato un film di Clint Eastwood. Personalmente, Clint Eastwood lo apprezzo nei film di Sergio Leone. Non che non sia un bravo regista, però i suoi film non riescono mai a convincermi del tutto, tutte le volte sembra che vogliano raccontare una storia pazzesca piena di significati importanti e poi mi lasciano sempre con la domanda "embè?" che non trova risposta.

Per Richard Jewel l'effetto embè non c'è stato. Forse perché questa volta Clint Eastwood non voleva raccontare una storia pazzesca piena di significati importanti ma solo raccontare una storia, solo i fatti, senza moralismi.

Il Richard Jewel della storia, che è una storia vera, è un simpatico ciccione sempre ottimista e di buon umore, buono come il pane. Il suo sogno è fare l'agente di sicurezza e ci riesce. Durante le Olimpiadi di Atlanta, 1996, a un concerto scopre una bomba all'interno di uno zaino abbandonato. Non viene preso molto sul serio all'inizio, ancora non c'era stato l'attentato alle Torri Gemelli e tutti sono molto rilassati, ma la bomba c'è sul serio. Richard Jewell però da eroe e salvatore della patria in poco tempo diventa il sospettato numero uno e un mostro.

Ecco, Clint racconta la sua storia, della sua famiglia (la mamma è interpretata da Katy Bates) e dell'avvocato che lo aiuta (Sam Rockwell). Racconta dei giornalisti (Olivia Wilde) che cavalcarono la falsa notizia e dei servizi segreti (John Hamm) che avevano bisogno di trovare subito un colpevole. Jewell è interpretato dallo sconosciuto Paul Walter Hauser.

L'unico difetto che ho trovato nel film è che alcuni personaggi mi sono sembrati molto sopra le righe, personaggi principali, in particolare l'avvocato e la giornalista... poi, oh, gli americani sono strani. Anche l'agente dell'FBI che davanti alla prorompente e provocante giornalista si fa sfuggire in 3 minuti l'indiziato numero uno che doveva rimanere segreto mi sembra poco verosimile. Anche l'agente dell'FBI sembra poco verosimile. Però chissà, magari erano tutti proprio così.

5.2.20

La ragazza d'autunno di Kantamir Balagov



Ecco un altro film piaciuto a tutti ma a che a me non è piaciuto (e non proprio solo a me questa volta). Osannato per l'estetica che si ricorda soprattutto per i colori: il verde della stanza che dividono le due amiche a cui la guerra (siamo alla fine della Seconda guerra mondiale a Leningrado, città pesantemente colpita) ha lasciato dei segni profondi, il rosso che contrasta, il bianco dell'ospedale, il grigio e marrone per le strade. Il cappello di lei con le orecchie lunghissime. La bellezza eterea della protagonista. Le luci velate. La neve. Tutto è iper estetizzato. Troppo.
I personaggi sono tutti sofferenti. La protagonista soffre di un disturbo che le causa delle specie di apnee (non ho capito se ha una malattia, se è un trauma psicologico, o qualcos'altro). All'amica in certi momenti sanguina il naso e sviene. Poi ci sono tutti i malati dell'ospedale, reduci di guerra. Si soffre nel film e si soffre anche a guardarlo perché c'è molto di più quello che vi sto raccontando. Troppo.
Da qualche parte credo di aver letto che il regista, Kantemir Balagov, che ha 26 anni, si sia ispirato al libro di Svjatlana Aleksievic, La guerra non ha un volto di donna, che descrive partendo da testimonianze le storie delle tantissime donne che parteciperano con vari ruoli alla Seconda guerra mondiale. Le due amiche del film infatti hanno ambedue partecipato attivamente alla guerra. I modi di raccontare di Balagov e di Aleksievic non potrebbero essere più distanti tra loro. Due pugni allo stomaco, ma preferisco quello non colorato.

3.2.20

Sorry we missed you di Ken Loach



Tra i buoni propositi per il nuovo anno ci sarebbe anche quello di scrivere sempre qualcosa dei film che vedo, per ricordarseli, per ragionarci ancora. Ho già visto 5 film, sono già indietro.

Come primo film dell'anno molto impegnativo. Ma si sapeva. Io non prendo mai l'iniziativa di andare a vedere un film di Ken Loach, ma se qualcuno me lo chiede, ubbidisco e vado. Un dovere morale. Alla fine del film (finale aperto, ci sarà forse un sequel? Battuta per alleggerire la botta allo stomaco, al cuore e alla testa) eravamo tutti ammutoliti.

Il film racconta la vita di una famigliola inglese - madre padre figlio adolescente figlia più piccola - di buoni sentimenti. Il padre è senza lavoro e decide di fare il corriere e per comprarsi il furgone vendono l'unica automobile che la moglie usa per andare dalla casa di un degente all'altro dove lei presta servizio come simil assistente sociale (caregiver si dice in inglese, una specie di badante ma specializzata). Usando i mezzi pubblici partirà da casa la mattina e ci tornerà a sera inoltrata. Ma il film si focalizza soprattutto sul lavoro impossibile del corriere, o meglio di quel tipo di corriere, perché voglio sperare che non tutte le ditte di corrieri lavorino così. Da quando ho visto il film, non che prima li trattassi male ma sono diventata più gentile e tollerante verso tutti i corrieri.

Non c'è che dire, Ken Loach alla veneranda età di 83 anni è sempre sulla notizia, sull'attualità, sul mondo di oggi, sulla politica e confeziona dei gran bei film. Nei titoli di coda ringrazia quei corrieri che gli hanno raccontato del loro lavoro ma che hanno preferito restare anonimi. I personaggi che compongono la famiglia sono tutti belli e credibili, e ciascuno poteva diventare il protagonista del film al posto del padre, soprattutto la madre che fa anche lei un lavoro atipico ma che a differenza del marito riesce a darsi dei limiti, a rispettare se stessa, restare umana.

Devastante, ma necessario.