27.12.06

Consigli per le vacanze


Istanbul era proprio come me l’aspettavo. Acqua ovunque ti giri, che sia un canale come il Corno d’Oro, o uno stretto come il Bosforo, o un mare chiuso come il Marmara, prima o poi un ponte lo devi attraversare per forza. Odore di cibo in ogni strada, stradina e piazza, sotto il ponte di Galata. Case e finestre una sopra l’altra. Minareti di tutte le dimesioni che spuntano fuori tra un tetto e l’altro, tra una parabola e l’altra (ma le parabole rosse proprio non me le aspettavo), tra un cartello pubblicitario e l’altro, e accanto le dolci cupole delle moschee. Il traffico la mattina, il pomeriggio, la sera, la notte, sempre, e i clacson, sempre. I bazar, i mercati delle spezie, i baklava dolcissimi pieni di miele. La preghiera, da un minareto all’altro, ogni ora. Tutti che fumano come turchi, ovunque. Una città gigantesca, che anche dall’aereo non capisci dove inizia e dove finisce.
Istanbul era proprio come me la ricordavo, l’unica altra volta che c’ero stata quando avevo 11 anni. Aya Sofya e la Moschea Blu enormi, soprattutto la prima, enorme, anche troppo. La luna, piena anche questa volta, tra i loro dieci minareti, la notte, e tutti a cercare di fotografarla (ma questa volta con le macchine digitali, così se non è venuta bene la butti via subito). La cisterna sotterranea con le sue 336 colonne (ma i pesci non me li ricordavo) e i due capitelli con testa di medusa. I baklava dolcissimi pieni di miele. La preghiera cantata dai minareti. I pistacchi dei venditori ambulanti. Il pane col sesamo dei venditori ambulanti.
Istanbul mi ha proprio sorpreso. Le case di legno che quando le restaurano sembra quasi di stare in Inghilterra. Araba, nei vecchi quartieri e in quelli più poveri, dove le donne in giro sono poche e hanno il capo coperto e possono scegliere tra innumerevoli negozi di foulard e da sposa (ce n’è una marea sulla strada per Chora, sito da non perdere) e gli uomini ti fissano (a te donna) come se tu fossi un extraterrestre, guai ad alzare lo sguardo. Europea in altri quartieri, come a Beyoglu, dove la sera sulla lunghissima strada pedonale di İstiklal Caddesi compaiono tutte quelle donne che non avevi visto negli altri quartieri, senza foulard e vestite come in qualsiasi altra capitale europea. Insieme ai loro amici affollano la strada, che è pure larga ma devi sgomitare per passare, e i ristoranti, bar, negozi, club, la strada è lunga un paio di chilometri e insieme ai vicoletti laterali fanno veramente un mucchio di locali, molti dei quali, per fortuna, mantengono lo stile arabo, come i tavolini bassi con sghabellini e narghilè. Si mangiano i meze, che sono un po’ come le tapas spagnole, ma non si mangiano con l’aperitivo ma come antipasto, che poi è simile. Ti siedi e arriva il cameriere con un vassoio gigante pieno di piattini di meze e te scegli quello che vuoi, ci sono salsine a base di yogurt, melanzane in tutti i modi, couscous piccanti, palline di formaggio... A Istanbul si mangia benissimo, ma questo lo sapevo già. C’è il tram (anche la metropolitana e i pulman) sempre carico all’inverosimile di gente, che attraversa anche il ponte di Galata. A Istanbul bisogna andare ad un hammam e sperimentare gli altri (quando avevo 11 anni i miei non mi ci hanno mica portato). A Istanbul non devi cercare un taxi, ti trova lui, a qualsiasi ora, anche quando proprio non ne hai bisogno. Lo sport nazionale degli abitanti di Istanbul è la pesca dal ponte (di Galata). Devi arrivare abbastanza presto la mattina (d’altra parte è risaputo, chi dorme non prende pesci) per trovare posto, e il sabato mattina ho visto anche alcune donne che pescavano. Nell’alfabeto turco ci sono le i senza il punto, fanno un po’ impressione. Gli ostelli a Istanbul sono belli, soprattutto quello a Beyoglu.

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