28.10.08

Da Internazionale di questa settimana

Nature, Gran Bretagna
L'Italia rinuncia al futuro
I tagli alla ricerca del governo Berlusconi danneggiano lo sviluppo del paese, scrive il settimanale scientifico Nature

E' un periodo di rabbia e frustrazione per i ricercatori italiani, che devono vedersela con un governo che ha una strana filosofia del risparmio. Decine di migliaia di persone sono scese in piazza per protestare contro la proposta di legge sui tagli alla spesa pubblica. Se sarà approvata, la legge avrà come effetto il licenziamento di circa duemila ricercatori, che sono la spina dorsale degli istituti di ricerca del paese, da sempre a corto di personale.
Mentre i ricercatori manifestavano, il governo ha deciso che i fondi destinati alle università e alla ricerca possono essere usati per sostenere le banche italiane. Non è la prima volta che Berlusconi prende di mira le università. Ad agosto ha firmato un decreto che riduce il loro budget del 10 per cento e stabilisce che solo una su cinque delle cattedre che saranno lasciate libere dai professori che vanno in pensione potrà avere un nuovo docente. Il decreto, inoltre, consente alle università di trasformarsi in fondazioni private per attirare finanziamenti. I rettori pensano che quest'ultima proposta verrà sfruttata per giustificare altri tagli ai bilanci, e alla fine li costringerà ad eliminare i corsi che hanno meno valore commerciale, come le materie letterarie e perfino le scienze di base.
Finora il ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, Mariastella Gelmini, si è occupata solo della scuola elementare e secondaria, e ha permesso al governo di prendere decisioni devastanti senza fare obiezioni. Si è rifiutata di incontrare i ricercatori e i professori universitari per sentire le loro ragioni. E non ha neanche chiesto a un sottosegretario di occuparsene.
Ancorati al passato
Anche se il governo Berlusconi ritiene necessari questi tagli, i suoi attacchi alla ricerca italiana sono insensati e miopi. Farebbe meglio a considerare la ricerca un investimento nell'economia della conoscenza del ventunesimo secolo. L'Italia ha sottoscritto l'agenda di Lisbona 2000 dell'Unione Europea, in cui gli stati membri si impegnavano a investire in rierca e sviluppo il 3 per cento del prodotto interno lordo. Tra i paesi del G8, l'Italia ha una delle spese per ricerca e sviluppo più basse: raggiunge a malapena l'1,1 per cento, meno della metà di quanto spendono Francia e Germania.
Se vuole un fututo credibile per l'Italia, il governo non dovrebbe rimanere ancorato al passato, ma capire come funziona la ricerca in Europa oggi.

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