27.3.09

I Gatti Mézzi al Teatro Verdi


Una recensione in ritardo (era il 13 febbraio) di un concerto che non ho mai visto.
Una recensione di un concerto a cui non ho assistito fatta ascoltando l'ultimo cd dei Gatti Mézzi, Struscioni, guardando i video del concerto su youtube, parlando con quelli che ho incontrato che c'erano, e inventandomela di sana pianta.
Teatro tutto esaurito. Di biglietti non se ne trovano più e chi non ce l'ha, gli tocca star fuori. Megaschermi su via Palestro non sono stati contemplati. Dentro sulle scomode poltroncine della platea del Teatro Verdi c'è grande attesa. Nei palchetti si sta meglio, si può allungare le gambe e anche alzarsi e sgranchirsi un po'.
I Gatti Mézzi non sono putuali, e alle nove le luci in sala sono tutte accese, il pesante sipario color senape rimane chiuso. Ma nessuno ci fa caso, tranne quelli che uscirebbero volentieri fuori a fumarsi una sigaretta.
Ma alle nove e trentatre circa comincia del movimento sulla zona del palco. E' l'amico Atos Davini che sale gli scalini sulla sinistra e pare voler dire qualcosa, però è senza microfono. Sono in pochi a notarlo. Sono pochi a notare anche un altro, vestito di nero, che lo riaccompagna in platea.
Non era ancora l'ora, evidentemente.
Ma alle nove e quarantuno minuto più minuto meno le luci lampeggiano e poi si abbassano. E' buio. Poi il sipario si apre sugli strumenti: pianoforte a coda a sinistra, batteria al centro a destra un contrabbasso e una chitarra. La luce è gialla. Dal soffitto scendono sagome rettangolari che ondeggiano e riflettono le luci. Eh sì, siamo al Verdi, mica alla festa dell'unità di Ospedaletto. Pochi secondi e rientra il Davini con un pile fantasia azzurrino sopra la cravatta. Racconta tre barzellette e subito li presenta: I gatti mézziiiiiiii... E loro entrano, vestiti tutto punto come i protagonisti di Il Padrino numero uno: completi scuri camicie bianche senza cravatta, bretelle e cappelli.
Lo spettacolo ha inizio.
Che segue pari pari l'ordine del cd (deve essere la nuova moda), ma noi spettatori non lo sappiamo perché il cd non è ancora uscito. Esce il giorno dopo, contemporaneamente in tutto il mondo.
Allora ecco 'Portami al mare', l'attacco sembra lento ma dopo poco il ritmo aumenta. E' Tommaso Novi al pianoforte che la canta e l'occhio di bue è tutto per lui. Col secondo pezzo, Morandi, re de' trasandi, le luci invece sono su Francesco Bottai e la sua chitarra.
E via, via così, un pezzo a testa e qualcosa insieme, fra l'arioporto e la stazione, Sor tentenna che si sciagatta a nutella, shu war du waa wai wai, tra avanzi di balera e voli di calambroni, l'Ameria che è avanti, iu wai wai iu wai stasera sott'Arno con me, che passa le cee, per finire sur purma' al cacciucco blues.
E' fatta.
Tutto intervallato da storielline, scherzi col pubblico, e cappelli che volano, giacche e camicie che si tolgono. I Gatti Mézzi alla fine rimangono così in canottiere e bretelle abbassate.
Mi guardo intorno: il pubblico è felice, applaude entusiasta, chiede il bis ed eccolo accontentato: tragedia dell'estate e come farne senza Ir Gallaccio di Riglione.
E qui finisce davvero tra applausi ancora e ringraziamenti tanti. Bravi ancora una volta questi Gatti Mézzi e belli questi nuovi pezzi, ma, una ma ci deve pur essere, la sensazione, mia, tutta personale, è che questo grande e grosso teatro verdi se li sia presi, i Gatti Mezzi, e tenuti un po' troppo per sé. Il pubblico dei Gatti Mezzi è stato abituato a sentirseli più vicini. Ma è un'impressione mia, che forse dipendeva dal posto in cui ero seduta.
Con i Gatti Mezzi sono anche Matteo Anelli e Matteo Consani.
I Gatti Mezzi domani suonano a Rebeldia. Magari questa volta riesco ad andarci davvero.

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