29.3.10

E la nave va


















Regia: Federico Fellini
Anno: 1983
Sceneggiatura: Tonino Guerra e Federico Fellini
Produttore: Franco Cristaldi
Fotografia: Giuseppe Rotunno
Scenografia: Dante Ferretti

Di Fellini si parla sempre tantissimo. Forse è il regista del periodo d'oro del cinema italiano, il secondo periodo d'oro, dopo quello del neorealismo, di cui si parla di più. Più di Antonioni, più di Visconti, ad esempio. Non perché Fellini sia meglio, è sempre una questione di gusti, ma perché rispetto ad Antonionio e Visconti, ad esempio, Fellini è un eccessivo. Anche Antonioni lo è, è eccessivo nei suoi silenzi, nella sua incomunicabilità, e nei suoi piani sequenza, tutte cose che si notano poco. Fellini invece è invadente, non puoi fare a meno di notarlo anche se magari non hai visto neanche un suo film. Fellini, faceva parlare anche le cronache scandalistiche, Antonioni e Visconti molto poco.
Io quando dicono Fellini penso sempre di conoscerlo poco. Poi ci penso e in realtà di film suoi ne ho visti cinque, e con questo fanno sei; ma essendo lui così eccessivo penso sempre di non averne visti abbastanza.
E la nave va sa molto di cinema, ti lo ricorda in continuazione che è cinema, che è finzione, che è cinema di finzione, niente a che fare col neorealismo insomma.
Il film comincia come se fosse un film muto, la pellicola sembra anche un po' rovinata, i titoli di testa sono in perfetto stile cinema muto, e le poche conversazioni sono riportate tra un'inquadratura e l'altra, in perfetto stile cinema muto. A un certo punto ti rendi conto però, anche se all'inizio non ne sei proprio sicuro, che si sentono i rumori del porto, e la banda che suona suona veramente, e dopo poco gli attori cominciano a cantare. Ed ecco che arriva anche il colore, prima seppia poi colore colore.
E la nave va infatti è anche un po' musical, tanto per ribadire che il cinema è finzione. La maggior parte dei personaggi sono dei cantanti lirici, o lavorano nei teatri, e quindi che cantino è anche naturale. Che facciano il giro della nave e si mettano a cantare per i macchinista giù infondo infondo nella sala macchine, è naturale.
Ma la nave stessa è poco naturale; e anche la nave da guerra che incrociano nella seconda parte del film è poco naturale. Poco naturale è il mare. Non è neanche acqua. E tutti i personaggi sono tutt'altro che naturali, va bene che sono tutti artisti e gli artisti sono strani, ma questi esagerano. I profughi naufraghi serbi che la nave tira su a un certo punto, sì sono affamati, ma sembrano il coro e le comparse della prima della Scala di Milano, e infatti non per niente anche loro cantano e ballano.
E alla fine per chiudere il film, la macchina da presa si allontanta dall'inquadratura della barchetta col narratore e il rinnoceronte in mezzo al mare per mostrare senza ombra di dubbio la finzione del cinema: si vedono le scenografie, i carrelli, le tante persone che lavorano a fare il film.
A me E la nave va è sembrato una celebrazione del cinema e per questo mi è piaciuto.
Essendo così pieno di assurdità, a partire dal rinnoceronte tenuto chiuso nella stiva della nave, e che sta molto male e che puzza tantissimo, viene da chiedersi quali significati ci siano dietro alla storia. Questo vizio di dover sempre spiegare.

“Vorrei che negli ingressi del cinema venissero posti dei cartelloni con su scritto: ‘Non c’è nient’altro che quello che vedete’. Oppure: ‘Non sforzatevi di vedere che cosa c’è dietro, se no rischiate di non vedere neppure quello che c’è davanti’. [...] Il film racconta semplicemente un viaggio in nave per disperdere al largo le ceneri di una celebre cantante degli anni ’20. Degli amici mi hanno detto che è un film terribile, che ha qualcosa di oscuramente minaccioso, mentre io credo che abbia invece una sua allegrezza di fondo. [...] In E la nave va io ho espresso, più o meno sinceramente, più o meno artificiosamente [...] il senso di smarrimento che c’invade. Il timore del peggio è uno stato d’animo o un presentimento con il quale conviviamo da lungo tempo e che non sembra destinato ad abbandonarci. [...] Non mi pare che il rinoceronte che naviga sulla ‘Gloria N.’ abbia nulla a che fare con il mostro che appare sulla spiaggia nel finale della Dolce vita. Un simbolo è tale in quanto non si può spiegare, in quanto va oltre il concetto, oltre la ragione, in quanto contiene degli elementi irrazionali o mitici. Perché mi si vuole costringere a spiegarlo? In ogni caso, il rinoceronte che è sulla nave, se ha un significato, questo significato va inteso in senso totalmente opposto. Il mostro di La dolce vita era uno specchio della degenerazione del protagonista, mentre il rinoceronte di E la nave va potrebbe suggerire un’interpretazione, ad esempio, di questo tipo: l’unico tentativo per evitare il disastro, per non precipitare nella catastrofe, potrebbe essere quello diretto a recuperare la parte inconscia, profonda, salutare di noi stessi. E’ in questo senso che si potrebbe spiegare la frase “farsi nutrire dal latte del rinoceronte”. Ma si tratta sempre di spiegazioni un po’ goffe, com’è goffo l’accostamento del rinoceronte al mostro di La dolce vita. Una fantasia, se autentica, contiene tutto, e non ha bisogno di spiegazioni”.
(Fellini. Raccontando di me, conversazioni con Costanzo Costantini, Editori Riuniti, Roma, 1996, pp. 182-185)

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