30.11.11

Life in a Day



Life in a Day è un film di Kevin MacDonald. E' girato in un giorno, uno preciso: il 24 luglio 2010.
Life in a Day è fatto di video che MacDonald si è fatto inviare da tutto il mondo, video amatoriali, che mostrano cosa succede un giorno nel mondo. Ci sono gli Stati Uniti ovviamente, ma c'è anche l'Afghanistan, una foresta africana, il Sudamerica, Katmandu. A Katmandu c'è un tizio coreano che gira il mondo in bicicletta; non lo dice se è della Corea del Nord o di quella del Sud, ma dice che vorrebbe che fosse unita. Un paio di spezzoni parlano anche in italiano. Riconoscere i luoghi non è facile, non sempre viene detto, e certe volte provi a indovinare.
Life in a Day è la prova che il montaggio fatto bene vuol dire tanto, che il ritmo è tutto.
I titoli di coda sono notevoli.
Life in a Day mi è piaciuto.
Life in a Day è il mondo immortalato quel preciso giorno.


Life in a Day si guarda su youtube, ed è sottotitolato anche in italiano

29.11.11

Exco consiglia

Da grande


Splitscreen: A Love Story from James W Griffiths on Vimeo.

Questo filmato lo avevo già visto non ricordo dove.
L'ho ritrovato sul sito della rivista di viaggio Boat Magazine. Quelli di Boat Magazine fanno 2 numeri all'anno, 2 monografie dedicate a 2 città, per esempio Sarajevo e Detroit. E per costruire ciascuna monografia spostano tutta la redazione in quella città.
Ecco, io da grande voglio lavorare in quella redazione lì.

26.11.11

Biennale d'Arte di Venezia - la cosa che mi è piaciuto di meno

Non ho dubbi (anche se della Biennale tutta avrò visto meno della metà): il padiglione italiano.
Il padiglione italiano era molto molto grande, e pienissimo di opere. Troppe.
E pienissimo di opere di tutti i tipi: video, fotografie, sculture, installazioni, dipinti, disegni. Troppi.
Ogni opera era di un artista diverso. Troppi.
Ogni artista era proposto da un intellettuale diverso. Troppi.
Troppi nomi e troppe opere.
Per capirci qualcosa in quel marasma potevi prendere delle cuffie a pagamento. Io mi sono rifiutata, sia per il pagamento che per il rischio di dover ascoltare la voce di Sgarbi.
Più di 200 opere, praticamente una mostra a se stante, senza nessun tipi di filo conduttore apparente, tranne che l'artista era proposto da un intelletuale diverso. Ed io che non avevo studiato prima di andare a Venezia, l'ho capito solo dopo la centesima accoppiata di nomi scritti su una scatola di legno ai piedi di un'opera. Forse ai piedi dell'opera di Chiara Caselli proposta da Niccolò Ammaniti.

Sono stata a lungo tempo davanti ai quadri di Riccardo Mannelli proposto da Ascanio Celestini. Ho provato a ricercarle in rete ma non le ho travate, e cercandole mi sembra di aver capito che Mannelli sia un fummettista. I suoi quadri mi hanno dato parecchio fastidio e cercavo di capire perché Celestini lo avvesse suggerito. Erano gruppi di uomini e donne, una decina, completamente nudi o con addosso qualche vestito di solito militare. Le posizioni in cui questi corpi erano rappresentati ricordava immagini sadomaso. Nonostante non succedesse niente in questi quadri, io li ho trovati molto violenti, e quindi fastidiosi.

C'era anche Wim Wenders con un'opera di Robert Bosisio. Un viso in trasparenza. O almeno credo che fosse quello, perché non sempre era facile capire a quale opera si riferissero la coppia di nomi, soprattutto quando il titolo dell'opera era 'Senza titolo 5'.



E naturalmente c'era l'artista pisano Giueseppe Bartalini, proposto da Antonio Moresco.

Purtroppo succedeva proprio così: nella gran confusione leggevo i nomi alla ricerca di qualcuno che conoscevo, un punto di riferimento, invece di guardare le opere stesse.
Mi rendo conto adesso infatti che le due opere che mi sono rimaste più impresse erano quelle più grosse, per le quali ho dovuto seguire una specie di percorso.
Il polittico pieno di teste degli Immortali della Battaglia delle Termopili, di Filippo Martinez (forse proposto da Vittorio Sgarbi in persona, aihaihiai).



E un'istallazione sulla mafia costituita da varie parti: un lungo e stretto corridoi con le immagini delle prime pagine dei giornali dal dopoguerra a oggi che raccontavano le stragi, le uccisioni, i processi legati alla magia; alla fine del corridoio una stanza con 10 cabine in cui si entrava, ognuna dentro era diversa e ti raccontava con delle registrazioni qualcosa che aveva a che fare con la mafia; in altri spazi c'erano ritratti dei mafiosi più famosi, alcuni a forma di sagome a grandezza naturale che rappresentavano quelli ancora a piede libero.

Insomma, con molta pazienza qualcosa saltava fuori dalla confusione, ma l'impressione maggiore era quella di una marea di opere buttate lì senza alcuna cura.

Il troppo stroppia.

22.11.11

Adozione approvata

Exco guarda il film Memento e chiede a Babbo Natale la Polaroid.
Io adotto la parola.
Questa.





E scelgo la citazione:
Se la foto non è buona, vuol dire che non eri abbastanza vicino. (Robert Capa)

18.11.11

Exco una volta di mattina

A exco manca la sveglia di casa sburk, e me la invia.
E così io scopro che tutte le mattine ascolto Buscaglione.


17.11.11

Pina


Il primo amore non si scorda mai: Wim Wenders.
E precisamente Alice nelle città.
Rudiger Vogler.
Poi preferirò Bruno Ganz.
Mi chiedo se quei primi film di Wim Wenders, quelli prima di Il Cielo sopra Berlino, siano come i romanzi di Herman Hesse: si amano a una certa età, ci si immerge dentro a una certa età.
Età massima 21.
Poi diventa tutto diverso.
Rivederli o rileggerli non fa lo stesso effetto.
Pina non sembra un film di Wim Wenders. Sembra un film di Pina Bausch. O della sua compagnia.
E forse proprio quello era lo scopo.
Il 3D è ganzo.

15.11.11

E che cavolo!

Brassica oleracea L. var. acephala
Brassica oleracea L. var. alboglabra
Brassica oleracea L. var. botrytis
Brassica oleracea L. var. capitata
Brassica oleracea L. var. capitata var. rubra
Brassica oleracea L. var. caulorapa
Brassica oleracea L. var. chinensis o L. var. pekinensis
Brassica oleracea L. var. costata o L. var. tronchuda
Brassica oleracea L. var. gemmifera
Brassica oleracea L. var. gongylodes
Brassica oleracea L. var. italica
Brassica oleracea L. var. sabauda

14.11.11

Parole parole parole

Le parole mi piacciono.

La Società Dante Alighieri, in accordo con quattro dei più importanti dizionari dell'uso dell'taliano contemporaneo promuove una campagna per l'adozione di parole dell'italiano allo scopo di sensibilizzare il pubblico ad un uso corretto e consapevole delle parole, favorire una conoscenza più ampia del lessico, monitorare l'uso di alcuni termini, e più in generale promuovere la varietà dell'espressione nel mondo della comunicazione globale.

Per maggiori informazioni qui.

Bellina l'iniziativa.
Però.
Secondo me nella lingua italiana ci sono una serie di termini che potremmo decidere di disadottare. Per esempio:
imprescindibilmente
Ma come si fa ad usarla, dico io.
Prevedo di allungare la lista nell'immediato futuro.


9.11.11

Gli Arsenali di Venezia



Biennale d'Arte di Venezia - la cosa che mi è piaciuta di più

Non l'ho vista tutta la Biennale, anzi una piccola parte. La Biennale è cosa enorme, si svolge principalmente n due posti, Arsenali e Giardini; poi ci sono padiglioni sparsi per tutta Venezia. Inoltre muoversi a Venezia non è semplice, che è anche il suo bello; ma se non hai tempo da perdere (eh... il tempo) raggiungere i vari punti della Biennale non è cosa semplice.
Quindi consigliata da chi ci era già stato e dovendo fare una scelta, ho visitato la parte negli Arsenali, che anche loro potrebbero facilmente essere la cosa che mi è piaciuta di più.

Invece, la cosa che mi è piaciuta di più tra le opere in esposizione è stato The Clock di Christian Marclay. E' un video della durata di 24h costruito con tantissime inquadrature e sequenze provenienti da svariati film internazionali di tutti i tempi nei quali si vede un orologio che segna l'ora o se ne parla. L'ora segnalata nell'inquadratura è la stessa del mondo reale.

Verrebbe da pensare: noioso.

Per niente; almeno per due motivi che mi vengono in mente, anzi tre, mmm quattro...

Il primo è un motivo generale: ognuno di noi ha a che fare col tempo, quasi sempre (quasi quasi toglierei il quasi), la sveglia la mattina, gli orari di lavoro, gli appuntamenti con gli amici, l'inizio di un film al cinema, le 17.31 in alto a destra in questo momento su questo schermo. Non si sfugge. Chiunque quindi si relaziona subito con gli orologi del video di Marclay.
Vedere poi in continuazione che ore sono crea anche una certa tensione. Io al museo ci sarei stata tutto il tempo a vedere The Clock, ma proprio The Clock mi ricordava in continuazione che stavo 'perdendo' tempo prezioso per vedere altre parti della mostra e che tra qualche ora la mostra chiudeva.
Vedere in continuazione che ore sono crea anche una tensione interna al video. In automatico io spettatore pensavo che qualcosa stesse succedendo, anche se non c'è un racconto tradizionale all'interno di The Clock.
Questo è aiutato anche da un bel montaggio. Le sequenze e le inquadrature non sono montate a caso seguendo solo le ore e i minuti degli orologi, ma se per esempio in un'inquadratura James Stewart in bianco e nero esce a sinistra da una stanza guardando il suo orologio da taschino, nell'inquadratura successiva si vedrà una stanza con un orologio a pendolo fermo e Cate Blanchett a colori che entrerà da destra per andare a farlo ripartire. Nella mezzora che ho visto io, circa dalle 14.00 alle 14.30 c'erano sequenze di un film che venivano riprese più volte, un uomo legato che fissava un orologio; anche questo creava una specie di narrazione.
E poi c'è il gusto di riconoscere i film!
Insomma non mi sarei più alzata da quei comodi divani, parte dell'istallazione, se non fosse stato per quegli orologi che mi ricordavano in continuazione che ora fosse.

Christian Marclay ci ha messo due anni a fare The Clock, che in fondo non sono neanche troppi.
The Clock ha vinto il Leone d'Oro alla Biennale d'Arte di Venezia di quest'anno.
Qui se ne può vedere qualche minuto, fatelo partire alle 12.04.
Io però lo vorrei vedere tutto.

8.11.11

Sburk ha visto la Biennale


Naturalmente ha finito le pile della macchina fotografica un po' meglio mentre era dentro la mostra. 
Naturalmente mentre era fuori dalla mostra e la macchina fotografica le diceva ehi sto finendo le pile, ma davvero davvero sto finedo pile, il suo solito ottimismo (stupido) ha avuto la meglio. Quel tipo di ottimismo che col simbolino della pila rossa tutta vuota e che lampeggia prima di entrare dentro una mostra che si sa che enorme dice, sì sì ma vedrai che non si scaricano. Quel tipo di ottimismo che pensa che al bar della mostra vendano le pile. 
A Venezia cambiare percorso però è sempre impegnativo. Non è detto che alla fine della tua via ci sia il ponte.
Per fortuna, c'era la macchina fotografica riserva.

7.11.11

Espiazione


Nel senso del film.
Perché è tratto da un libro, di Ian McEwan, con lo stesso titolo.
Il libro l'ho letto qualche anno fa e non mi piacque particolarmente. Ci rimasi anche abbastanza male perché Ian McEwan di solito mi piace molto. Magari lo lessi in un momento sbagliato: però pensai che la parte centrale del romanzo che racconta la guerra in Francia era troppo lungo - probabilmente saltai anche un po' di pagine; il fraintendimento su cui tutto il racconto è basato non mi fu chiarissimo, o passò in secondo piano in mezzo a tutto il resto, a tutte quelle parole. Pensai che il romanzo era troppo lungo.
Il film invece è lungo 123 minuti, giusti giusti.
Nel film la parte centrale sulla guerra non è interminabile.
Nel film ci sono decisamente meno parole; e si sa, le immagini aiutano sempre.
Nel film le immagini poi sono belle, un po' classiche, niente di originale: la solita campagna inglese d'estate con la solita villona vittoriana con la carta da parati floreale e i camerieri nella cucina a preparare il pranzo, i vestiti da sera verdi e i costumi da bagno bianchi interi; insieme c'è anche la solita campagna francese piena di rossi papaveri, e spiagge della Bretagna con giostre abbandonate. E poi le infermiere vestite di bianco con il mantellino blu e anche i quartieri popolari londinesi sono belli. E sono belli tutti gli attori... facile.
C'è Keira Knightly, che è proprio protagonista e che personalmente non mi sta molto simpatica. Secondo me assomiglia a Winona Ryder, che è tutt'altra cosa.
C'è James McAvoy che invece mi piace molto. Lui assomiglia un po' a Ewan McGregor - un pochino e sono tutti e due scozzesi. Jemes McAvoy ha fatto L'ultimo re di scozia, che da queste parti pensiamo sia tra i film da portarsi sull'isola deserta..
C'è Saoirse Ronan, che fa la bambina che fraintende. E la fa proprio bene ed è la stessa dell'ultimo film di Joe Wright, Hanna, che da queste parti piacque molto.
C'è Vanessa Redgrave, che chiude il film.
Espiazione è una bella storia, un bel intreccio narrativo, un bel finale che al cinema, almeno per me, ha funzionato meglio.
Dario Marianelli, che Wikipedia mi dice esser nato a Pisa, per le musiche di questo film vinse l'Oscar.

3.11.11

Bastardy


Ve lo dico subito: Bastardy ha un happy ending!
Non solo, è anche pieno di buoni sentimenti. Tiè!
Potrei dire che è heartwarming, che è il nome di una tisana che nella traduzione francese si chiama joie de vivre.
Bastardy gira tutto intorno a Jack Charles, qualche volta chiamato anche Jackie, un aborigeno australiano della Stolen Generation (cioè di quella generazione di bambini aborigeni che è stata portata via alle famiglie e data in adozione, su cui c'è anche un bel film che si chiama Rabbit-Proof Fence, o in italiano proprio la Generazione Rubata, con colonna sonora di Peter Gabriel).
Jack Charles è un barbone; è un attore di teatro, cinema e TV; è alto 1 metro e 56; è eroinomane; è ladro di appartamenti; è fondatore della prima compagnia di teatro aborigeno; è stato spesso in prigione; è saggio; è ottimista; è cantante; è affettuoso.
Bastardy è un documentario del regista australiano Amiel Courtin-Wilson, che ci ha messo sette anni a girarlo perché nel frattempo lui e Jack sono diventati grandi amici.
Il sito di Bastardy.

2.11.11

FoFu phot'art 2011

Piccola mostra di fotografia che si tiene a Fucecchio.
Cinque artisti in mostra.
Storm Thorgerson è quello che ha fatto le copertine della maggior parte, se non tutti, degli album dei Pink Floyd. Ma anche di Peter Gabriel, Cramberries, Led Zeppellin e molti molti altri. Ogni foto ha una piccola storia su come si è arrivati a fare proprio quella foto lì; in altre si raccontano i trucchi, tranne in quella con le ombre volanti che interessava a me. A parte quelle per gli album di Peter Gabriel che mi piace sempre e comunque, la mia preferita è sicuramente la copertina dell'album dei Steve Miller Band Let your hair down. C'è anche uno spazio video per un bel ritorno agli anni 80.
Franco Fontana fotografa paesaggi cogliendone gli aspetti geometrici. A me sono piaciute quelle degli asfalti.
Gregorie Korganow si occupa di padri e figli, insieme, nudi.
Margherita Cesaretti e Marco Gualazzini sono vincitori ex-equo del FoFu photo challnge. La prima fotografa attimi fuggenti, il secondo la minoranza cristiana in Pakistan. Ambe due, anche se in modo diverso, tendono a mettere in luce sono una parte della foto.
Tutte le infomazioni qui, ma sbrigatevi perché avete tempo solo fino a domenica 6 novembre.
Ma voi di FoFu, siete proprio sicuri di volervi chiamare fofu?