27.2.14

Povero Don Giovanni

Ho visto Filippo Timi a teatro nudo.
Poi ne ho parlato qui.

26.2.14

24.2.14

21.2.14

Lost in Exco

 
Mi scrive Exco, e mi permette anche di condividere:
 
La serie tv "Lost", narra le vicende di un volo oceanico, che, partito da Los Angeles(??) per Sidney, precipita nel bel mezzo dell'oceano; vicino ad un'isola apparentemente inesplorata.
I superstiti, una volta raggiunta l'isola, iniziano una nuova vita di sopravvivenza fisica e razionale, volta anche all'abbandono della stessa.
Dopo due o tre serie, qualche morto, qualche scomparsa destinata a ricomparire e tanti tanti tanti colpi di scena, in pochi e non per forza buoni, riescono ad abbandonare l'isola; a ritornare alle proprie vite, e non solo. Ritornando da superstiti ricevono molte agevolazioni, come per esempio golden cards per viaggiare gratis con la stessa compagnia con cui erano precipitati qualche serie prima (sai che voglia?). Dopo qualche puntata cercando di condurre una vita normale che non contemplasse uccidere altri esseri viventi per sopravvivere, qualche rimpatriato inizia a provare una certa insofferenza per la vita continentale. Insofferenza inizialmente cercata di sopprimere, di ignorare; dopo tutte quelle serie per venir via dall'isola adesso ci vuoi tornare? Suona strano, in effetti. Ma è qualcosa di più forte della razionalità, è come un magnetismo, non possono tornare indietro, anche se fisicamente l'hanno già fatto, devono tornare indietro, devono tornare sulla cazzo d'isola, ad uccidersi e tutto il resto...
Tutto questo per dire cosa provo, perché anche se non sono precipitato, non ho ucciso nessuno e faccio la spesa da Sainsbury, anche io voglio tornare sull'isola. Sull'isola della Sardegna, con M, a svegliarmi in una piscina di acqua salata con vista orizzonte, a litigare al massimo per la musica da mettere in macchina o per quella proprio lasciata a casa; oppure per divergenze dal 6 al 7 oppure un 6,5+. Per mangiare la  burrata alle 2 di notte, per innamorarsi di chi ti vende la burrata con un "eja". 
Per tornare sull'isola della Nuova Zelanda, dove sono talmente pochi e con tanto spazio, che sono contenti di quel che hanno, dove ci sono poche autostrade e se ti va bene incontri una fattoria ogni tantissimo. Dove il problema è in quale fantastica area naturale passare la notte, oppure "da quanti giorni è che mangio fish'n'chips?". Dove ci sono più pecore che noie.
Qualche volta mi sveglio con questa irrazionalità, con questo desiderio incontenibile di andarmene da tutto, di tornare dove non ho appigli ma tutto da scoprire. Certe volte mi sveglio e voglio tornare sull'isola.
Invece devo andare a sopravvivere da Carluccio's... ma con la camicia bianca da chef, faccio sempre la mia porca figura. Aspettando la prossima isola.

18.2.14

Holy Motors



E' l'ultimo film visto per PaginaQ.
La recensione è qui.
L'aggettivo è misterioso.

14.2.14

Hannah Arendt



Complesso.
E' stato facilissimo trovare un aggettivo per il film di Margarethe Von Trotta che racconta un pezzo di vita della filosofa ebrea Hannah Arendt. Il pezzo di vita è quello che riguarda il periodo in cui la Arendt segue il processo contro il nazista Eichmann a Gerusalemme, il controverso articolo che pubblicherà per il New Yorker e il famoso libro scaturito dalle riflessioni provocate dal processo e dalle parole di Eichmann. Il libro è La banalità del male.
In soldoni-oni-oni, la Arendt fa notare come le azioni (mostruose) del nazista Eichmann fossero la coseguenza 'solo' di ordini impartiti dall'alto, una questione 'solo' burocratica. Eichmann al processo infatti si difende con le parole 'seguivo gli ordini' e dicendo anche che le conseguenze delle sue azioni  non erano cose che lo riguardavano; riguardavano un altro reparto. Non mostri quindi, ma dei banali burocrati. Il passaggio successivo della Arendt è che questi regimi totalitari funzionano perché le persone smettono di pensare. Eichmann non pensa; non pensa a quello che sta facendo, ma esegue solo degli ordini. E il pensiero è ciò che caratterizza l'essere umano, secondo la pensatrice tedesca, è ciò che ci distingue, che ci fa essere esseri umani. Di conseguenza i regimi totalitari, per nascere ed esistere, contano sulla disumanità delle persone, persone che decidono di non pensare, decidono di non essere umani. Nei suoi articoli, inoltre, Hannah Arendt punta il dito anche contro i leader della comunità ebraica che fecero troppo poco.
(Chiedo scusa, perché la questione è veramente - appunto - complessa. Anche affascinante. E probabilmente ho detto cose inprecise, se non sbagliate.)
L'articolo del New Yorker provocò delle reazioni terribili, soprattutto della comunità ebraica. In Israele il suo libro è stato tradotto solo recentemente. Hannah Arendt perse amici, venne naturalmente accusata di antisemitismo e essendo donna si beccò i soliti insulti riservati alle donne che invece di arrivare via web arrivavano per posta o infilati sotto la porta.
Questa è la storia.

Il film.
Il film oltre a essere complesso perché è complessa la storia, è interessante perché è interessante la storia. Difficile separare il film dalla storia; forse proprio perché l'intento del film era proprio quello di raccontare la storia nel modo migliore possibile senza cedere troppo a intenti artistici, che potevano diminuire la potenza della storia. E la storia è davvero potente.
Poi io conosco poco Margarethe Von Trotta, magari questo stile asciutto è tipico di tutti i suoi film. Aciutto ma anche passionale: si vede che la Arendt proprio le piace. E nonostante la Arendt per i suoi pensieri viene anche accusata di essere fredda e non avere cuore, nel film dimostra tutta la sua passionalità.

Particolarmente bello è il discorso finale che Hannah Arendt fa a sua difesa davanti alla sua classe di studenti nell'Università Americana dove insegna - è molto amata dagli studenti mentre il corpo docente cerca di costringerla alle dimmessioni. Oltre a speigare la sua tesi, Arendt dirà anche che quello che aveva cercato di fare era capire. Capire come il nazismo era potuto accadere. Capire è importante.

Il film dice moltissimo altro.
Hannah Arendt è un personaggio complesso.


13.2.14

Philomena



Se hai visto Magdalene di Peter Mullan di cui si era già parlato qui Philomena è un altro tassello della stessa storia. La storia ignobile delle Case Magdalene, istituti in cui venivano rinchiuse e fatte lavorare per lo più giovani ragazze irlandesi che si erano macchiate di azioni considerate vergognose per la morale cattolica irlandese. E Philomena cinquanta anni prima aveva ceduto alle gioie del sesso senza essere sposata e per di più era rimasta incinta; quindi rinchiusa per qualche anno in un istituto e il figlio dato in adozione praticamente contro la sua volontà

Anche il film Philomena, come Magdalene, è tutta una storia vera, raccontata in un libro da un giornalista che decide di raccontare e indagare sulla faccenda. Philomena infatti è anche un'indagine, e lo spettatore vuole sapere come va a finire. E mentre Magdalene era raccontato in modo più crudo, Philomena nonostante racconti una storia triste e che fa arrabbiare e anche commuovere, è pieno d'amore.
Philomena, la protagonista è interpretata da Judi Dench che almeno per me è una garanzia. L'altro protagonista è il giornalista che indaga e poi scriverà il libro, ed è interperetato da Steve Coogan, sempre inglese ma che non conoscevo. Pare abbia fatto soprattutto parti comiche. Anche lui bravo. E, al di là della storia, è proprio il rapporto tra questi due personaggi così diversi - Philomena è una donna un po' sempliciotta che legge il Readers Digest e romanzetti d'amore, il giornalista è laureato a Oxford e ha alle spalle una carriera importante nel giornalismo e anche in politica - che si trovano a stare insieme giorno dopo giorno, come una strana coppia, a dare la leggerezza necessaria a una storia che altrimenti poteva sfociare solo nel sentimentalismo. Del resto dietro la macchina da presa c'è Stephen Frears, che nei suoi alti e bassi non mi sembra abbia mai ceduto al sentimentalismo.
E dato che domani è pure San Valentino questo ragionamento ci sta proprio bene.




11.2.14

C'era una volta in Anatolia


Un bel film di cui scrivo su paginaQ.
Il sito del regista del film Nuri Bilge Ceylan, qui.

10.2.14

Smetto quando voglio



Curato.
Questo è l'aggettivo che mi viene in mente ripensando a questo film.
Smetto quando voglio è stato una bella sorpresa. Anche perché non ne sapevo nulla e non avevo letto nulla. Ci.elle mi ha chiesto vieni, e io ho risposto ci sto.
Smetto quando voglio è una commedia, e si ride veramente e non banalmente. Ridevano proprio tutti in sala.
Smetto quando voglio è un film curato. Curato è diverso da preciso. Curato implica fatto con amore.
Smetto quando voglio è curato nella scelta dei personaggi e relativi attori che io non conoscevo molto ma li ho trovati tutti bravi, facce nuove, smorfie nuove, sguardi nuovi, corpi nuovi. Un piacere.
E' curato nella colonna sonora, che non è chissà che cosa ma ci sta e la noti e ne cerchi le informazioni nei titoli di coda.
E' curato nei colori, appena appena spinti, perché la storia è grottesca anche se perfettamente plausibile. Sì, è curato anche in questo equilibrio tra grottesco e plausibile.
E' curato nella scelta dei dettagli, come il calendario di Internazionale appeso nella cucina del protagonista, e le cartoline appiccicate intorno alla finestra dello sfasciacarrozze.
E' curato nel finale, perché è difficile trovare un finale non banale per la storia che racconta.
E' curato sotto tanti aspetti che non voglio raccontarvi perché dovete andarlo a vedere.
Ma se leggete un pochino più di me, sapete già che Smetto quando voglia racconta la storia di un gruppo di ricercatori universitari senza lavoro o con lavori poco soddisfacenti che decidono di guadagnarsi da vivere spacciando una pasticca fenomenale.
Il regista è di Salerno, si chiama Sydney Sibilia e questo è il suo primo film.

6.2.14

Il Capitale Umano


Preciso.
Questo è l'aggettivo che mi viene in mente ripensando all'ultimo film di Virzì. E' tutto preciso.
La storia scorre perfettamente e nel cinema gremito non vola una mosca, non ci si distrae un attimo, non ci sono momenti morti, e la suspense di sapere come sono andare davvero le cose, funziona.
Funziona l'incastro dei racconti dai punti di vista diversi.
Funzionano gli attori tutti. Raro vedere un film italiano dove recitano tutti ma proprio tutti bene. Bentivoglio, secondo me, era un pochino sopra le righe, ma mi dicono che in Brianza certi personaggi sono proprio così.
Sono credibili i personaggi (tranne Bentivoglio... ma mi dicono in Brianza...).
Precisa è la regia. Niente da dire.
Ma il problema è che io in realtà all'ultimo film di Virzì non ci ripenso un granché. Ripenso più a Ovosodo e a La prima cosa bella, anche se di quest'ultimo non sono una fan. Uscita dal cinema, il film è rimasto là dentro e non me lo sono portato a casa.

4.2.14

Nuova Zelanda, questa volta: ancora su PaginaQ



Ancora un racconto neozelandese su paginaQ.
La foto è del Capogita: pellicola con infiltrazione di luce.

3.2.14

Nuova Zelanda, questa volta: dal Guardian

C'è scritto sul Guardian che la Nuova Zelanda sta pensando di cambiare la propria bandiera. O meglio sta pensando se fare un referendum per chiedere ai cittadini se vogliono cambiare bandiera. La bandiera attuale delle Nuova Zelanda è quella di derivazione brittanica. Il primo ministro vorrebbe cambiarla, la vorrebbe nera con la felce bianca, come sulle maglie degli All Blacks; e come anche i passaporti.


1.2.14

Nuova Zelanda, questa volta: il bombolone

Il camper per visitare la Nuova Zelanda è l'ideale. Meglio il classico van, più piccolo, ma noi essendo in quattro avevamo bisogno di spazio. Il camper l'avevevamo prenotato un paio di mesi prima e l'avremmo trovato al nostro arrivo all'aeroporto di Christchurch. Ma l'aereo degli australiani arriva con un paio d'ore di ritardo e noi proprio non riusciamo ad abituarci al fatto che alle quattro, massimo alle cinque, del pomeriggio in Nuova Zelanda (anche in Australia) chiude tutto e non pensiamo che nel frattempo potremmo andare io e exco a prendere il bombolone. Capogita poi ci mette una vita ad uscire dal controllo passaporti perché lo controllano per benino. Insomma quando alla fine siamo tutti arrivati a Christchurch e ci siamo salutati, abbracciati e raccontati e chiamiamo il numero per andare a prendere il bombolone una voce registrata ci dice che gli uffici sono chiusi.
Un po' di panico... ma non troppo, siamo nella terra dei 'no worries'. Dovremmo solo trovare un posto dove dormire la notte, e il bombolone lo prenderemo il giorno dopo. Certo così perdiamo un giorno di viaggio.
Il nostro capogita però non si dà per vinto e a furia di fare telefonate riesce a parlare con qualcuno e anche se con molto ritardo, dopo aver sbrigato le interminabili pratiche per prendere il bombolone e dopo aver fatto la spesa siamo sulla strada.
Diluvia.
E non andiamo troppo lontano. Andiamo al campeggio che ci ha consigliato la ragazza dell'agenzia che ci affittato il camper. Andiamo a Geraldine.
Non è un vero campeggio, non è attrezzato, c'è solo il gabinetto. E' un posto dove puoi campeggiare. Anche se in NZ si può campeggiare ovunque - a meno che non ci sia il divieto. Ma questi campeggi segnalati sono sempre in posti bellissimi - anche se in NZ è abbastanza facile trovare posti bellissimi. Di solito sono anche vicini a dell'acqua, fiumi, laghi, mare - anche se in NZ è difficile non essere a pochi passi dall'acqua.
A Geraldine c'è un torrente e noi parcheggiamo il bombolone proprio sopra il torrente. Ha smesso di piovere e ci godiamo un po' il paesaggio. Mangiamo fuori nelle nostre poltroncine fucsia. Durante la notte però si mette a diluviare sul serio e a me viene la paranoia che il terreno sotto il nostro camper cederà e finiremo nel torrente e che Subu e Capogita che dormono davanti rischiano il doppio.



Abbiamo una cartina con segnalati tutti questi campeggi semi liberi, ma il secondo lo troviamo per caso. E' a Omarama e abbiamo da una parte un fiume basso larghissimo e dall'altra un pascolo di mucche.



Il terzo invece è vicino a Queenstown e forse è quello più bello. Più frequentato di altri, ma in NZ le resse le abbiamo viste solo alle hot pools, pozze d'acqua calda in riva al mare. Questo è su un lago, Moke Lake, tra le colline e le pecore. Exco a cui non manca mai l'energia arriva in cima alla collina e fa una fotografia.

Mi manca l'ultima puntata di Top of the Lake, una mini serie in 7 puntate diretta da Jane Campion, e Paradise, la comune di container delle donne, è qui, su Lake Moke. La serie merita, grazie cbp.