27.1.16

Letture femminili




Verso la fine dell'anno c'è stata una polemica su una lista di migliori libri del 2015 pubblicata non ricordo dove nella quale non era presente neanche una scrittrice.
Be', a me quest'anno per Natale hanno regalato solo libri scritti da donne, due dei quali pubblicati nel 2015, di cui uno considerato a livello internazionale uno dei migliori libri del 2015 (in realtà vedo che è stato pubblicato nel 2014).
Una bella discriminazione insomma!

Ecco la mia lista:

Chirù di Michela Murgia
Quest'estate in Sardegna avevo letto L'accabbadora che mi era piaciuto tantissimo, questo un po' meno.

How to be both di Ali Smith
In italiano non ancora tradotto. Ali Smith è considerata una delle più geniali scrittrici contemporanee. Questo romanzo si svolge in parte anche Italia

Viaggio in Uruwera di Katherine Mansfield
Scrittrice neozelandese dei primi anni del '900 che visse soprattutto in Inghilterra. Il libro è un resoconto di un viaggio in Nuova Zelanda.

Ragazzi di zinco di Svatlana Aleksievic
È la vincitrice del premio Nobel per la letteratura del 2015. Mi dicono che è la versione al femminile di Ryszard Kapuscinski

25.1.16

Banksy sui rifugiati a Calais

La nuova opera di Banksy che critica l'uso di lacrimogeni sui rifugiati accampati a Calais.









Non è la prima opera dell'artista inglese a trattare la questione immigrazione. In questo video del Guardian si può vedere il murales con Steve Jobs, che era figlio di immigrati siriani, apparso proprio tra le tende dei rifugiati di Calais.


22.1.16

Buoni propositi

Solo qualche giorno fa pensavo seriamente di chiuderlo questo blog visto che non ci scrivo praticamente più ormai da tempo. Stamani ho cambiato idea. Sono a casa non proprio malata ma a casa. Ho finito il Master in traduzione che mi portava via un sacco di tempo materiale e mentale e questi due giorni di riposo forzato da tutto, non solo dal lavoro ma anche dalle cose che mi piace fare, mi ha fatto ripensare alle altre cose che vorrei fare. Diciamo che i buoni propositi dell'anno nuovo li ho fatti con 22 giorni di ritardo.

E tra i buoni propositi c'è quello di tornare a curare questo blog. A scriverci.





Attenzione perché riparto con una roba lunga, non mia ma di Kapuscinski: le ultime pagine del suo libro Ebano. In questo periodo di caos e di odio vario ho pensato che leggerlo poteva riappacificarmi col mondo. Non è forse il mio libro preferito del grande reporter polacco. Forse perché in questi brevi capitoli dedicati a diverse parti dell'Africa c'è meno l'incontro con le persone comuni del luogo, caratteristica che apprezzo particolarmente di Kapuscinski, cioè il suo raccontare i grandi eventi parlandoti delle piccole cose e della persone comuni.

"L'europeo di passaggio in Africa di solito ne vede solo una piccola parte, ossia l'involucro esterno, spesso il meno interessante e forse anche il meno importante. Il suo sguardo scivola sulla superficie senza penetrare oltre, quasi incredulo che dietro a ogni cosa possa nascondersi un segreto e che questo segreto pervada le cose stesse. Ma la cultura europea non ci ha preparato a queste discese nel profondo alle fonti di mondi e culture diversi dai nostri. Il dramma delle culture, infatti - compresa quella europea -, è consistito in passato nel fatto che i loro primi contatti reciproci sono stati sempre appannaggio di gente della peggior risma: predoni, soldataglie, avventurieri, criminali, mercanti di schiavi e via dicendo. Talvolta, ma di rado, capitava anche gente diversa, come missionari in gamba, viaggiatori e studiosi appassionati. Ma il tono, lo standard, il clima fu conferito e creato per secoli dall'internazionale marmaglia predatrice che non badava certo a conoscere altre culture, a cercare un linguaggio comune o a mostrare rispetto nei loro confronti. Nella maggior parte dei casi si trattava di mercenari rozzi e ottusi, privi di riguardi e di sensibilità, spesso analfabeti, il cui unico interesse consisteva nell'assaltare, razziare, uccidere. Per effetto di queste esperienze le culture, invece di conoscersi a vicenda, diventavano nemiche o, nei migliori dei casi, indifferenti. I loro rappresentanti, a parte i mascalzoni di cui sopra, si tenevano alla larga, si evitavano, si temevano. Questa monopolizzazione dei rapporti interculturali da parte di una classe rozza e ignorante ha determinato la pessima qualità dei rapporti reciproci. Le relazioni interpersonali cominciarono a venir classificate in base al criterio più primitivo: quello del colore della pelle. Il razzismo divenne un'ideologia per definire il posto della gente nell'ordinamento del mondo. Da una parte i Bianchi, dall'altra i Neri: una contrapposizione dove spesso entrambe si sentivano a disagio. Nel 1894 l'inglese Lugard, a capo di un piccolo reparto, si spinse all'interno dell'Africa occidentale per conquistare il regno dei borgu. Chiede di incontrarsi con il re. Ma gli viene mandato incontro un messaggero, il quale dichiara che il sovrano non può riceverlo. Parlando con Lugard il messaggero non fa che sputare in un recipiente di bambù appeso al collo: un modo di difendersi e purificarsi dagli effetti del contatto con l'uomo bianco.

In Africa il razzismo, l'odio verso gli altri, il disprezzo e il desiderio di sterminarli affondano le loro radici nei rapporti coloniali. Lì tutto è stato ideato e messo in pratica secoli prima che i sistemi totalitari contagiassero l'Europa del XX secolo con quella sinistra e vergognosa esperienza.
Un'altra conseguenza del fatto che i contatti con l'Africa siano stati monopolio esclusivo di una classe di gente rozza e ignorante è che nelle lingue europee non si è mai sviluppato un lessico capace di descrivere adeguatamente i mondi diversi dal loro. Vasti settori della vita dell'Africa rimangono tuttora inesplorati, addirittura intonsi a causa di questa peculiare povertà delle lingue europee. Come descrivere l'interno oscuro, verde e soffocante della giungla? Come si chiamano quelle centinaia di alberi e arbusti? Conosco la palma, il baobab, l'euforbia, tutte piante che nella giungla non crescono. E quei grandi alberi alti dieci piani a Ubangi e Ituri, che nome hanno? Come definire la miriade di insetti che qui incontri dappertutto e che ci attaccano e ci mordono dalla mattina alla sera? Qualche volte se ne può rintracciare il nome latino, ma che se ne fa un lettore medio del nome latino? Serve solo a costringerlo a ricerche di botanica e zoologia. E che dire del vasto dominio della psiche, delle credenze, della mentalità di questa gente? Le lingue europee sono ricche solo finché si tratta di descrivere la propria cultura: appena si addentrano nelle culture altrui e cercano di parlarne, rivelano subito la propria limitatezza, la mancanza di sviluppo, l'impotenza semantica.
L'Africa è un coacervo delle più svariate, più diverse e più contrastanti situazioni. Uno dice: "Là c'è la guerra", e ha ragione. Un altro dice: "Là c'è la pace", e ha ragione anche lui. Tutto dipende infatti dal dove e quando.
Nell'era precoloniale, quindi non tanto tenpo fa, in Africa esistevano più di diecimila staterelli, regni, gruppi etnici, federazioni. Nel suo libro The African Experience (New York 1991) lo storico dell'Università di Londra Roland Oliver mette in risalto un paradosso ormai generalizzato: si dice infatti comunemente che i colonialisti europei abbiamo compiuto una spartizione dell'Africa. "Spartizione?" dice Oliver stupito. "Ma se si è trattato di un'unificazione brutale, importa col ferro e col fuoco! Da diecimila che erano, si sono ridotti a cinquanta."
Ma di tutta questa varietà, di questo mosaico cangiante composto di sassi, ossa, conchiglie, ramoscelli e foglioline rima ancora molto. Più lo contempliamo e più ci accorgiamo di come sotto i nostri occhi le parti di questo puzzle cambiano posto, forma e tinta, finché non sorge uno spettacolo che ci abbaglia con la sua varietà, la sua ricchezza, il suo caleidoscopio di colori."

Cercando in rete una foto di Kapuscinski scopro che qualche hanno fa è uscito un film a metà tra l'animazione e il documentario basato sul suo libro Ancora un giorno.




ANOTHER DAY OF LIFE Trailer from Platige Image on Vimeo.